martedì 16 dicembre 2008

La fine dello spagnolo

solitamente non lavoro nella direzione linguistica es>it, anche perchè nelle mie offerte inviate alle agenzie non la menziono. Ora però, avendo accettato di tradurre alcune paginette di un opuscolo pubblicitario scritto in spagnolo, mi accade un fatto strano. Mentre la memoria va a ripescare parole e frasi rimastemi imbullonate in testa fin dal tempo della mia permanenza in Sudamerica, questa lingua così poco straniera mi suona in modo insolito. Leggo alcune frasi ad alta voce e mi sembra di riudire suoni e accenti della mia parlata casalasca, sì insomma del dialetto di Casalmaggiore sul Po, che è la mia terrasanta perché ci sono nato. Leggo un’altra frase e sento il veneto parlato a Mestre, poi proseguo e sono a Genova in via di Prè, etc. Allora mi viene il dubbio: questa lingua così simile alla nostra, siamo ben sicuri che sia una lingua dopo tutto? Non potrebbe trattarsi di un nostro dialetto padano? Propongo di inoltrare una petizione a quelli della leganord perché allo spagnolo così come è stato introdotto clandestinamente nel regno della Padania venga concesso un indulto e gli venga affibiato lo stato di dialetto padano, proprio come il varesotto. La proposta non manca di una certa eticità, perché se è vero che noi traduttori fomentiamo il regionalismo europeo e planetario ostinandoci a tradurre tutto ciò che si muove e disincentivando i popoli d'Europa dal leggere in lingua straniera, con il ridurre il numero delle lingue ufficiali togliamo un mattone alla torre di babele. Possiamo quindi augurarci che lo spagnolo scompaia come lingua scritta e resti al mondo come una variante dell'italiano. Sarà un po' come riprenderci ciò che ci apparteneva e in più gli spagnoli si sentirebbe in fondo anche un po'italiani! Noi e loro, insieme, potremmo finalmente cominciare, forse, a volerci più bene.

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