martedì 16 dicembre 2008

Italiani grandi simultaneisti

In un foro telematico ho letto i resoconti di colleghi traduttori che nei giorni scorsi hanno partecipato al convegno Aiti di Bologna. Sembra che nelle fasi più accalorate del dibattito i partecipanti parlassero tutti insieme, ognuno
per conto suo, senza ascoltare nessuno, e la cosa non mi sorprende. Il fatto è che l’abitudine di parlare tutti insieme, appassionatamente, è tipica italiana e non si lascia sradicare tanto facilmente. Il problema è che anche nella comunicazione verbale più animata le regole vanno rispettate, altrimenti la forma (di comunicazione) diventa contenuto e alla fine non si sa più se si bisticcia per un concetto o per non avere avuto i nanosecond necessari per esprimerlo. Intanto ci facciamo ridere dietro da tutti, da tempo nei paesi d’elezione della nostra emigrazione, dall’800 ad oggi, cioè Germania, Belgio, Stati Uniti, etc, ed ora con la comunicazione su scala mondiale anche dalle Alpi alle piramidi, passando per il Borneo. Deve
esserci rimasta però qualche tribu di indios, come quegli uomini dipinti di rosso che hanno da poco scoperto nel bacino amazzonico, che non sanno che gli italiani per comunicare devono farlo in simultanea. Non interpretando in cabina, ma conversando. Il motto è ‘non ti lascio parlare perchè ho ragione io', oppure 'ti interrompo sadicamente mentre stai per concludere il più bel ragionamento della tua vita, e così dimostro che la tua logica non va bene'’. Io personalmente mi trovo in difficoltà anche quando
solo 2 persone parlano insieme. Mi posso sentire in colpa per non capire bene cosa dicono, ma poi la medicina mi viene in soccorso spiegangomi che il cervello, pur costituito da due lobi distinti, non riesce a far concentrare la persona su più di un solo argomento per volta. Se si seguono due filoni questo è possibile solo a intermittenza. Chi fa l’interpretariato ad es di chuchotage sa di avere con la tecnica e la consuetudine solo enormemente abbreviato gli intervalli di questa intermittenza ma che non potrà mai ascoltare due interlocutori 'simultaneamente'. A proposito, che ne direste di rinominare questi colleghi da 'interpreti in simultanea' a 'interpreti a intermittenza'? Quindi lasciatemi definire un consesso in cui non due o tre, ma da cinque, sei o più persone si esprimono all'unisono per la pura affermazione di sé, come una scena da videogioco, una logica da poker, una moralità da puntate sui cavalli, una lucidità da oppiomane, una volontà di chiarezza da onorevole Andreotti. Continuando a leggere le narrazioni dei
colleghi su langit-1, mi sono soffermato sul commento di una nostra collega di cui ho avuto modo più volte di apprezzare per i suoi contributi alla lista pieni di straordinario buon senso. La collega dice di non avere avuto modo di mantenere linee guida per il particolare clima del dibattito di Bologna. Io apprezzo molto la sua delicatezza collega e immagino che in realtà volesse dire ‘io parlavo, ma chi mi ascoltava?’ Io a questa collega voglio bene, voglio cominciare un rapporto platonico con lei, voglio rinunciare all’annuale pellegrinaggio a Fatima per recarmi a piedi ad uno dei suoi seminari, se li fa.
In ogni caso la tecnica viene in aiuto sempre di più nella comunicazione. Se del convegno di Bologna esistono verbali registrati su nastro, anche in modo illegittimo, bisogna raccoglierli tutti quanti, impacchettarli e spedirli alla NSA, Fort Meade, nel Maryland. Ci sono specialisti del suono che grazie ad
apparecchiature ipersofisticate riescono a dipanare grovigli di suoni inestricabili e ad isolare le voci di singoli parlanti. Questa tecnica è usata per mettersi sulle tracce ad es. dei serial killers. I commenti che i reduci di Bologna hanno inviato in lista sono rari, illuminanti e preziosi reperti del convegno. Tuttavia solo se grazie alla diligente opera degli esperti di forensica del suono della NSA il mistero sarà chiarito, solo allora sapremo che cosa è realmente accaduto a Bologna, o meglio che cosa si sono veramente detti!

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