mercoledì 29 luglio 2009

Elogio di Lena Olin

Per l’appassionato melomane la rappresentazione dell’opera lirica preferita nel teatro prediletto (ad es. La Scala di Milano o il Mozarteum di Salisburgo) del suo autore più amato (prendiamo non casualmente il divino Wolfgang Amadeus Mozart), è sempre un’esperienza così intensa da sconfinare dal mondo dei suoni e da estendersi a quello spirituale. Quando la festa sonora cessa e nella testa del melomane continuano a risuonare le armonie che lui ritiene a buon diritto celestiali, bene, a questo punto è probabile che la persona non senta più bisogno di altro alimento spirituale che la comunità in cui vive gli possa offrire ad es. sotto forma di liturgie religiose. La sensazione meno piacevole che non lo abbandonerà tuttavia sarà quella di accorgersi che la celebrazione del suo più intimo e caro mito musicale è stata resa possibile solo attraverso una rappresentazione mondana, in cui al grosso del pubblico forse non importa se Mozart era austriaco o svizzero. In altre parole l’appassionato musicomane avrà la sensazione di avere assistito alla mitizzazione di un suo suo personale, intimo fatto culturale. Nella società attuale tuttavia le mitizzazioni culturali più che all'opera lirica si producono nel cinema. Siccome è difficile sottrarsi al richiamo del cinema, in occasione delle trascorse celebrazioni del cinquantenario dell’avvento di Castro in Cuba, vorrei ricordare che la sua meglio riuscita mitizzazione filmica è stata fatta da Hollywood con la pellicola ‘Havana’, diretta da Sidney Pollack nel 1990. Nel cast del film vi sono attori, rispettivamente in ordine qualitativo che va dal basso all’alto, come Tomas Milian, Robert Redford, e in cima… ma proprio in cima: Lena Olin! Attrice svedese di gran razza, allevata alla scuola drammaturgica di Ingmar Bergman, Lena Olin è per presenza fisica e immenso talento drammatico una delle più grandi attrici di oggi. Quando Lena Olin si inquadra sullo schermo, gli altri attori comprimari (salvo Redford) scompaiono, e non c’è che lei. Il suo fascino e magnetismo sono completi e assoluti, un po’ come succedeva con Sofia Loren, e la sua capacità d’immedesimazione nei suoi ruoli è la versione al femminile di Jean Gabin o di Jean-Louis Barrault. La trama in breve: nell'Havana del ‘59, alla vigilia dell’avvento dei castristi, il giocatore professionista e avventuriero sbandato Jack Weil (Robert Redford), appena arrivato da Miami, s’innamora di Roberta Duran (Lena Olin), moglie del nobile e benestante cubano Arturo Duran. Jack scopre che Roberta e il marito di lei sono patrioti che complottano in segreto contro Batista e tengono contatti con le milizie castriste in attesa della loro imminente entrata alla capitale. Il dramma si addensa quando Arturo viene catturato dalla polizia segreta di Batista e viene dato per morto, Roberta stessa viene arrestata e torturata sotto interrogatorio. A suo rilascio Roberta si allontana dall’Havana rifugiandosi in una sua tenuta di campagna, per recuperare dalla violenza della tortura subita. In questa villa la raggiunge Jack, i due si amano, ma poi Jack scopre che Arturo, il marito di Roberta, è vivo. L’epilogo della vicenda è da groppo in gola e lacrima pronta come quello di ‘Casablanca’. Jack rinuncia all’amore di Roberta per lasciarla al marito (io non l'avrei mai fatto), e s’imbarca fortunosamente sul traghetto per Miami (manco morto), proprio nelle ore in cui le colonne di Castro entrano all’Havana. Il film è meraviglioso, le scenografie sono sontuose, le musiche cubane sono da rizzapeli della nuca. La scena d’addio finale tra Jack e Roberta, all’imbarcadero per Miami, mentre i castristi prendono possesso della città nel frastuono della folla festante, è da brivido lungo il midollo spinale, e appartiene alla storia dei cult movies. Redford dà il meglio di sé, ma la Olin è strepitosa. La finzione filmica scompare, la rappresentazione del dolore e della passione della donna e del suo uomo sono il dolore e la passione stessi. Tutta la sequenza, che di per sé dura pochi minuti, ha una intensità drammatica superiore anche a quella della sequenza in cui Humphrey Bogart con il suo stupido impermeabile bianco si congeda da Ingrid Bergman, mentre le eliche dell’aereo che porterà via l’amore cominciano a girare. Sniff… sob… non perdetevi questa scena e tenetevi pronti i fazzolettini di carta. Anzi non perdetevi l’intero film. Le sequenze con le quali Pollack rappresenta la vita delle strade, delle piazze, dei casino dell’Havana di Batista sono evocative e maestose come di rado accade di vederle al cinema.

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